12/11/96
Andrea Pinketts risorge fra i Santi nei suoi romanzi
di
Paolo Brera
Fonte: http://www.brera.net/cultura/pinketts.htm
Dev'essere in qualche modo collegato allo stare esistenzialmente a cavallo fra
più nazioni. Il fumo come prova di virilità, iniziazione all'età
adulta. Prendi in mano uno dei sigari di Ross Galimi, chirurgo italo-americano,
o di Philippe Daverio, genialoide brianzo-alsaziano, lo accendi, lo fumi, e
quando hai finito non sei più un ragazzino, sei un guerriero Cheyenne.
Ovviamente, se sei ancora vivo, perché sigari del genere è già
difficile alzarli dalla scatola, figuriamoci fumarli. Andrea Pinketts, padre
irlandese, madre trentina, deve aver attraversato la sua iniziazione a diciotto
anni, quando, espulso dal liceo, è scappato a Hongkong per vendere san-pan
("Le tipiche giunche cinesi", spiega). Che mai fumasse allora non
ho domandato. Adesso anni trentasette fuma toscani e beve di preferenza
Guinness. A volte deflette (sbevazzonicamente parlando) e sorseggia una lager
beer che qui al Trottoir, vedere il precedente numero di Brera, chiamano appunto
Pinkette.
Andrea è
un mostro di cordialità, e se non lo fosse non potrebbe fare il mestiere
che fa e neppure quelli che ha fatto in passato. Ieri faceva il giornalista
(coi san-pan
c'era poco da sfogliar verze) ed era capace di infiltrarsi in una setta satanista
come di dormire un mese alla stazione Centrale per scrivere un pezzo sugli homeless.
Oggi scrive romanzi gialli ed è considerato lo scrittore di punta della
cosiddetta "scuola dei duri". Chi scrive è un giornalista e
di quello che legge sui giornali a volte diffida (specie se assume certe forme
che risultano esser tipiche dell'anea disperante estate dei media).
- Sicché la prima domanda è: ma quel gruppo di giallisti, esiste
veramente o è stato partorito al desk di qualche redazione?
"Esiste
davvero. È un'idea mia che ha fatto strada. Carlone Oliva l'ha raccolta
subito, altri più tardi. Lo scopo è quello di raccontare la città
e i suoi cambiamenti attraverso il linguaggio più estremo, che è
quello del crimine. Il crimine di cui ci occupiamo noi è contemporaneamente
letterario e antropologico."
- Chiarimento!
"Per
farti un esempio, una generazione fa Giorgio Scerbanenco è riuscito a
raccontare come pochi la realtà dell'altra faccia degli anni Sessanta.
Lui ha dipinto il boom ma anche le mine anti-uomo che erano il rovescio della
medaglia."
- Anche un'espressione
come "mine anti-uomo" bisognerebbe chiarirla.
"Le
piccole storie di ordinaria violenza e sopruso."
- Però
il tuo ultimo libro, Un saluto ai ricci, non è un giallo. Che cos'è?
"Una
specie di fiaba. Ha come protagonista un riccio, e testimonia la mia volontà
di utilizzare suggestioni diversissime, dal romanzo realistico al romanzo del
delirio immaginifico, per raccontare comunque, con qualsiasi mezzo, dal noir
alla parabola, le inquietudini e il disagio di una generazione, la mia, che
è troppo giovane per aver fatto il '68 e troppo vecchia per considerarsi
figlia del linguaggio tecnologico. Un
saluto ai ricci è il primo thriller animalesco della storia. Lo scopo
è quello di restituire dignità a un animale della cui morte non
si occupa nessuno. Perché se muore un visone, un panda, una foca, o comunque
un animale grazioso, nascono delle crociate. Per un riccio non si muove nessuno.
Tranne gli automobilisti che li schiacciano. Sintetizzando: il riccio è
il parente povero delle vittime. L'editore del libro si chiama "Il Minotauro"
e non è un caso se, come me, è mezzo uomo e mezzo toro."
- Quando
hai iniziato a scrivere?
"La
risposta è banale, ma è vera: dalla prima volta che ho preso in
mano una matita, all'asilo. C'è chi inizia a disegnare e chi si mette
a scrivere. Io non ho mai voluto fare né il pompiere né l'astronauta.
I tossicodipendenti per sopravvivere hanno bisogno dell'eroina, noi scrittori
degli eroi: i nostri personaggi. A volte sono autobiografici, a volte sono degli
alter ego."
- Mi spieghi
la differenza?
"Il
personaggio autobiografico è quello che vive i tuoi ricordi, l'alter
ego è un altro te stesso proiettato in situazioni che non ti è
capitato veramente di vivere in prima persona come un essere umano. Nei miei
romanzi le due cose si fondono perché Lazzaro Sant'Andrea,
il protagonista, ha i miei ricordi ma gli accadono anche cose atroci che spero
a me non capitino mai."
- (E in tema
di autobiografia: "Lazzaro Sant'Andrea" come protagonista dei romanzi
è ovvio che Andrea Pinketts vuole risorgere fra i santi che andranno
marchin' in. È a questo punto dell'intervista che Pinketts mi racconta
gioiosamente di come a Hongkong abbia dissipato la sua parte del patrimonio
di famiglia con il già ricordato business delle giunche, convincendosi
che le avventure è meglio scriverle che viverle. Però, dice ancora
Pinketts contraddicendo esplicitamente Pirandello "La vita o la
si vive o la si scrive" per scriverle, bisogna anche averle vissute.
I dettagli al prossimo romanzo, immagino.) Progetti?
"In
settembre uscirà per Mondadori L'assenza dell'assenzio, che potremmo
quasi definire un thriller pirandelliano, in quanto tre personaggi di nome Assenzio
vengono rapiti: un bambino, un adulto e un anziano."
- Non dirmi
il colpevole! Ma in generale, il colpevole lo sai prima di scrivere il libro,
o solo dopo?
"Ho
brevettato un sistema chiamato Guido nella nebbia. So dove parto e so dove voglio
arrivare. Non so, vista la nebbia in val Padana, come ci arriverò. Può
darsi che mi perda, che alla fine scopra che il colpevole non è quello
che pensavo fosse l'assassino quando ho iniziato a scrivere il libro."
-
L'essenziale è che la vittima non sia il lettore, e mi sembra che con
i tuoi romanzi il rischio non ci sia proprio. Scrivi al computer?
"No,
scrivo a mano nei bar, in stampatello. Poi me lo faccio battere dalle mie fidanzate,
le famose battilografe."
- Mi guardo
in giro: il luogo è il Trottoir, ma potrebbe ugualmente bene essere il
Boulevard Café, dove Pinketts organizza e anima un incontro alla settimana.
Sul tavolo c'è un notes con parte della pagina occupata da caratteri
in stampatello. L'intervista deve aver interrotto un momento creativo. La grafia
di Pinketts non rivela il suo modus scribendi, cioè il suo stile pirotecnico.
Sbircio quello che ha scritto ma il colpevole, nelle sue note, non riesco a
leggerlo. Sarà per un'altra volta. E quindi uscimmo a rivedere Brera.