aprile 1995
Maltese Narrazioni - Andrea Pinketts
a cura di Marco Drago, Roberto Rivetti e Sergio Varbella
Fonte: http://www.bookcafe.net/maltesenarrazioni/pinketts.htm


"I fatti, i luoghi e i personaggi di questo romanzo sono puramente immaginari. Mi si potrebbe obiettare che esiste una regione che si chiama Trentino Alto Adige e un paesino chiamato Bellamonte. Mi sento obbligato a specificare che sia il Trentino che Bellamonte, come è noto, li ho inventati io".
(dall'introduzione a Lazzaro vieni fuori)

Accompagnamo, come al solito, una breve scheda bio-bibliografica all'intervista anche se è molto difficile riassumere la vita e la carriera del protagonista in poche righe.
Di sicuro sappiamo che è nato nel 1961, a Milano, e che ha pubblicato per ora due romanzi, Lazzaro vieni fuori, per MM nel 1992 e Il vizio dell'agnello, con Feltrinelli nel 1994.
Sempre Feltrinelli ha in programma l'uscita del terzo libro di Pinketts per i primi mesi del 1995 e la ristampa del primo romanzo.
Il protagonista dei tre romanzi è Lazzaro Sant'Andrea, detective improvvisato e archetipo del milanese purosangue, che attraversa il paradosso della vita quotidiana e la subisce, dandocene una sua interpretazione a volte cruda e a volte ironica, comunque sempre legata alla realtà.
Molto curati sono quindi proprio gli sfondi su cui si muovono gli attori delle storie di Pinketts, un paese del Trentino nel primo romanzo e la Milano da bere degli anni di tangentopoli nel secondo, e divertenti sono i personaggi e le storie che essi raccontano, anche se ogni tanto è esagerato il tono da barzelletta di alcune parti.
È prevista infine l'uscita, entro fine anno, di una antologia contenente anche i racconti vincitori del Mystfes 1984, 1989 e 1990.
Numerosissime sono anche le attività svolte da Pinketts, come potrete leggere nell'intervista; senz'altro la più curiosa è quella di sceriffo di Cattolica, le più stimolanti invece le inchieste svolte per Esquire come giornalista sul campo, all'americana.
Per meglio conoscere il personaggio, lasciamo ora spazio alla lunga intervista concessaci dall'autore, ancora ringraziandolo per la disponibilità e la simpatia dimostrataci.

Io sono uno tipo Dostoevskji.
(Andrea G. Pinketts)

L'intervista con Andrea G. Pinketts inizia, com'è prevedibile, all'interno di un caffè di Milano. Si concluderà ore dopo nello stesso caffè dopo un intervallo nella pizzeria attigua.
Pinketts è elegantissimo: camicia verde brillante, cravatta a forma di penna stilografica, pantaloni di velluto noisette a coste e giacca dello stesso colore. Alto (1,83), abbronzato, dotato di lunghissimi sigari stranamente inodori, parla a voce discretamente alta e afferma tra il serio e il faceto quanto abbiamo esposto in epigrafe.
Abbiamo parlato ore ed ore e, ritornando verso il Piemonte, ci siamo chiesti: cos'è che abbiamo imparato di nuovo, stasera? La risposta è stata: "Permette signora? Mi guarda da un'ora, sarà che stasera si è accorta di me, ha visto che luna, non amo nessuna, se balla mezz'ora le pago un caffè."

- Come possiamo riassumere la tua breve carriera?
"La mia breve carriera in realtà è lunga: il primo libro ("Lazzaro vieni fuori" N.d.R.) l'ho scritto nell'85 anche se è uscito nel '92. Nel 1984 ho vinto il Mystfest per il miglior racconto (premiato tra l'altro da Oreste Del Buono in persona) e il Giallo Mondadori, che era ancora una cosa seria, mi ha aperto le porte chiedendomi addirittura di scrivere un romanzo. Ho scritto questo romanzo e sono stato trombato perché all'epoca le case editrici preferivano andare su nomi sicuri e agli esordienti era concessa pochissima fiducia. Allora ho mandato lo stesso lavoro a parecchi altri editori. Anche loro - una decina, i più importanti - l'hanno rifiutato o addirittura, forse, non l'hanno neppure letto. Però, a quel punto, ho capito che bisognava dimostrare a questi signori che io avevo ragione e loro avevano torto. Il primo libro è uscito poi per un piccolo editore, Musicmakers. Ero al "Noir in Festival" di Viareggio nel 1992. C'era Silvia Meucci della Feltrinelli che presentava Vazquez de Montalbàn e per puro caso mi sono trovato alle cinque del mattino in un locale con VDM in persona, la Meucci e altre persone che non conoscevo. Abbiamo iniziato a parlare - il mio spagnolo è molto primitivo, come quello di un veneto che cerca di spacciarsi per iberico... - e a un certo punto VDM mi ha chiesto: "Ma tu cosa fai nella vita?" e io: "Faccio lo scrittore anch'io, cazzo!" perché ci tenevo che venisse ribadito questo discorso... allora lui mi ha chiesto di mandargli una copia del mio libro a casa sua in Spagna. Se non che io ne avevo dietro alcune copie e le ho date ai presenti. Silvia Meucci l'ha letto e l'ha trovato bellissimo. Dopo sei mesi mi ha chiamato la Feltrinelli - io non ci pensavo più - e mi ha chiesto se avevo idea di scrivere qualcos'altro. All'inizio, in verità, volevano farmi scrivere una specie di romanzo-inchiesta del tipo "Pietro Maso" e quelle cose lì... io avevo già pronto "Il vizio dell'agnello" fin da tre anni prima e gliel'ho proposto. Si era nel 1992, il libro è uscito nell'aprile del '94. Ecco tutto."

- Tu sei stato anche giornalista...
"Esatto ed è per quello che Feltrinelli avrebbe voluto un romanzo-verità... proprio perché avevo fatto esperienze incredibili da giornalista, soprattutto per Esquire. Mi sono camuffato da barbone, da marocchino, da tossico... tutto per condurre delle inchieste sul campo. È una cosa che in Italia non si usa: i grandi settimanali fanno interviste telefoniche, in ventiquattro ore vogliono che le inchieste siano pronte. Esquire mi dava addirittura un mese di tempo: venti giorni per studiare il problema e dieci per viverlo."

- Il lavoro di giornalista ti ha aiutato nell'altra carriera?
"Eccome. Le inchieste per Esquire mi hanno fatto capire qual è la mia autentica dimensione narrativa, ossia non il giallo o il noir ma, se me lo permettete, la chanson des gestes. Io sono uno scrittore epico, nel senso che permetto ai miei personaggi di vivere un ruolo più grande del loro, il ruolo che in fondo loro stessi si scelgono. È un'epica della città, dei poveri, ma pur sempre un'epica. Nei miei libri ci sono un sacco di principesse e un sacco di draghi ma un solo San Giorgio, che è l'io narrante... un San Giorgio in realtà poco convinto perché si rende conto che non tutte le principesse sono così principesse e non tutti i draghi sono così draghi... c'è spesso il ribaltamento dei ruoli. E tutto questo è maturato in me anche grazie al lavoro di giornalista. Poi ho avuto parecchie altre attività: fotomodello, gestore sfortunato di locali notturni, protagonista di fotoromanzi... un po' di tutto."

- Come mai la trama de Il vizio dell'agnello è così complessa?
"Dal momento che "Lazzaro vieni fuori" era stato rifiutato da tutti avevo deciso di giocare a lascia o raddoppia: ho scritto un romanzo più lungo e più ambizioso... se andava bene, bene. Se andava male, pazienza. Non riesco a scrivere libri brevi. Sto assumendo una visione cosmica della narrativa. "Il vizio dell'agnello" è ancora un aperitivo (ride). Io ho un metodo infallibile: si chiama guido nella nebbia. Non potrei mai lavorare in America, dove - specie se scrivi polizieschi - devi consegnare una scaletta all'editore con tutto lo svolgimento preciso della trama. Ad esempio: ho in mente una storia e so quello che deve accadere, più o meno... ma, come scrittore che guida nella nebbia, improvvisamente sono affascinato da un Luna Park. Lo zucchero filato, la Casa degli Orrori, le montagne russe... e mi fermo lì perché mi va. Non me ne frega più niente di quello che volevo raccontare, in quel momento descrivo il Luna Park."

- Il contrario di quello che dovrebbe fare un giallista...
"Sì. Una volta il poliziesco era quello tecnico: Agatha Christie eccetera, ma non lo è più da un pezzo. Io stesso uso la definizione di giallista come un cavallo di Troia, mi serve e mi diverto a fare finta di essere uno scrittore di romanzi polizieschi. Ma non sono l'unico a fare così: pensiamo a Dürrenmatt, in passato, e adesso a Lucarelli. Anzi, pensandoci bene, i confini tra poliziesco e non poliziesco sono sempre stati artificiali: Edgar Wallace era un narratore d'avventure o di polizieschi? E Ellery Queen? E Rex Stout?"

- Quali sono le tue letture?
"Innumerevoli: il mio modello è Shakespeare (ride). A parte i mostri sacri citerei Scerbanenco, che è uno di quegli autori che fra qualche anno verrà studiato a scuola ed è giusto che ciò avvenga. Scerbanenco ha raccontato l'altra metà degli anni sessanta: ha osservato il boom economico dal punto di vista nero. Era un autore contemporaneamente atroce e sublime. In quanto scrittore popolare è stato più volte tacciato di superficialità, mentre andava molto più a fondo di tanti altri. Pensate ai "Racconti romani" di Moravia e alle "Storie milanesi" di Scerbanenco. Che differenza! Moravia si è limitato a copiare gli esistenzialisti francesi. Poi mi piacciono i futuristi: Marinetti, Armando Mazza - tutta la battaglia contro Venezia passatista mi ha sempre esaltato. Amo Pitigrilli, uno scrittore tra gli anni '30 e i '50, amo Carlo Manzoni... poi tra i classici ci sono Cesare Pavese, Dino Buzzati, Guido Piovene, il Pirandello umoristico, Italo Svevo, addirittura certi racconti di Verga, che è una vittima del nostro sistema scolastico.
Tra gli stranieri mi piace tantissimo Boris Vian. Poi gli americani: Hemingway, Hammett, Faulkner, Chandler, Fitzgerald... gente che aveva il senso della frase. Forse, però, sono più europeo perché sono uno scrittore tormentato, alla Jarry... il potere della parola, il gioco linguistico... sono caratteristiche europee. Poi c'è un autore non molto considerato che invece amo citare ed è ? Dard, il creatore del Commissario Sanantonio. In Italia sono usciti per anni i volumi mensili con le avventure di questo pazzesco Commissario e dei suoi soci sgangherati... ora non se ne parla più, ma erano storie bellissime. Umoristiche e nere allo stesso tempo, come le mie e, come le mie, dotate di alto valore letterario."

- Credi di più nell'ispirazione o nel mestiere?
"Io credo soltanto nel talento."

- Che tipo di Milano hai inteso dipingere nel Vizio dell'agnello?
"Forse la Milano delle persone che vivono a disagio, dei ragazzi che si accorgono che invecchieranno... è terribile, no? Amo la Milano del primo Jannacci."

- Parlaci un po' delle serate letterarie all'ex-Post Café, ora "Brassérie Garibaldi".
"Siamo arrivati alla sesta edizione. Praticamente sono serate che vertono sul tema del mistero, molto in generale. Io le organizzo, ma faccio partecipare anche persone come il direttore del carcere di San Vittore o altri. Gente, cioè, che vive concretamente le esperienze di cui si parla nelle serate. Dovreste vedere la partecipazione del pubblico: il bar è sempre pieno e a me fa piacere portare la fiction al bar. Fa parte di un piano di svecchiamento della letteratura a cui partecipano anche riviste come la vostra: via dalle accademie!"

- Domanda di prassi: quali sono i tuoi progetti futuri?
"A maggio, sempre per Feltrinelli, esce il mio nuovo libro: "Il senso della frase". E nel frattempo ne ho scritto già un altro."

- Hai mai pensato di trarre un soggetto per film da una tua storia?
"No. Non mi piacerebbe scrivere sceneggiature, preferirei che qualcuno prendesse uno dei miei romanzi e ne facesse un film, ma in quel caso non vorrei entrare nella lavorazione. Sono convinto che scrivere libri e lavorare per il cinema siano due cose diverse e che debbano stare bene separate, anche se amo moltissimo il cinema."

- Che registi ti piacciono?
"Vi posso citare tre registi che ammiro particolarmente: Howard Hawks, Sam Peckimpah e poi Quentin Tarantino, che al momento è il numero uno."

- Che fine hanno fatto i tuoi primi racconti, quelli che hanno vinto tutti quei Mystfest negli anni ottanta?
"Erano stati pubblicati nei Gialli Modadori ma adesso saranno ripubblicati in un volume di racconti che uscirà entro un anno oltre al nuovo romanzo."

- Ci parli di Cosa da non fare… il racconto che Il Maltese pubblica in questo numero?
"Cosa posso dire? È lì, basta leggerlo… posso solo aggiungere che l'ho scritto per una ragazza irlandese che insegnava qui in Italia."