09.08.2001
SCRITTORI ECCENTRICI / ANDREA G. PINKETTS
Sono il maledetto della porta accanto
Scrive gialli, scopre serial-killer e non si muove da Brera
di Giancarlo Dotto
Fonte: Espresso Online

È la sua battaglia navale. Disfatta quotidiana di scorie azotate e acidi urici. Birra, sudore e urina. Beve, suda e fa pipì. Dalla volta palatale alla vescica e viceversa. Su e giù tra tazze e boccali. Tra un'apnea e un colpo di reni, il sigaro toscano e la Mont Blanc blu che pompano tabacco e inchiostro. Il tutto, birra, sudore, cenere, inchiostro e forse pipì, finisce a impiastrare i fogliacci che Raffaella, la sua "battilografa", dovrà poi decifrare, riscrivere e consegnare alla casa editrice. Impresa titanica rigorosamente non retribuita. L'ultima, "Fuggevole Turchese", è stata appena mondata e pubblicata da Mondadori.

C'è quasi sempre una fantastica ragazza quando riemerge dai suoi fondali alla spina. Tutto quanto la sua pupilla onnivora riesce a imprimere al primo piano del "Trottoir", il locale milanese di Brera che una volta era un casino e adesso pure, solo che ha rimpiazzato le puttane con menestrelli, balordi e belle donne. Se è una sconosciuta o meglio ancora una misconosciuta, lui si presenta con il vocione amplificato dal luppolo e accompagnato dal biglietto da visita: "Andrea G. Pinketts, specialista in situazioni d'emergenza". Dove "G" sta per "genio" ma anche "guru" o "guerriero", a seconda dell'emergenza. Quando l'incubo è corposo, a farsi sotto è Pingutz un quintale e passa, l'abito a pois e le pantofole celesti da Montserrat Caballé versione trash. Attrice di temperamento e una delle tante fans di Pinketts, di cui ama spacciarsi, con il suo consenso, come "lo specchio deformante e la moglie fedele".

Due leggende metropolitane, Pinketts e il "Trottoir", che non chiudono mai. Aperte 24 ore su 24. Popolate da facce poco raccomandabili. Tutta materia che parte dal bancone del "Trottoir" e finisce nei romanzi di Pinketts o viceversa. La corte dei miracoli. Artisti maledetti e maleducati. Pogo, Michelangelo, Leonardo, Chieffo il selvaggio. Molto letterario anche Max, il titolare del "Trottoir". Sparisce per mesi interi. In fuga, pare, dalla mala slava che ci tiene tanto a cambiargli i connotati.

Scrittore giallista, mamma trentina, padre irlandese, molto apprezzato da Fernanda Pivano e Vázquez Montalbán. Andrea Pinketts ama raccontarsi come uno «mezzo uomo e mezzo toro». Un "duro" che conosce a memoria tutte le canzoni di Mary Poppins. Con una radicale vocazione a confondere scrittura e marciapiede, sullo stile di Ellroy o di se stesso. Espulso dal liceo per intemperanze varie, da militare non fa troppa fatica a fingersi psicopatico. Più faticoso depistare creditori, strozzini e tutti i nemici accumulati nei primi quarant'anni di vita, impegnati a dissipare un'eredità propria e a ficcare il naso nelle faccende altrui, meglio se "noir". Ogni tanto convoca i suoi amici via sms: «Vieni con la mazza da baseball». L'ultima scazzottata, quando si trattò di difendere il "Trottoir" dalla mala di Arkan, sempre loro. Adora Shakespeare (« "Titus Andronicus" è il primo western all'italiana») e Sam Peckinpach, questo scrittore che i serial killer li ha frequentati, molestati, in qualche caso indovinati, travestendosi da barbone, da tossico o da Pinketts, la sua maschera preferita. Da cronista di nera suggerì alla questura l'identikit di Chiatti, il mostro di Foligno, s'infiltrò da rockettaro con la cresta azzurra tra "I bambini di Satana" e fece arrestare 106 camorristi a Cattolica, guadagnandosi la stella da sceriffo "honoris causa" della giunta, circostanza che lo ha definitivamente accostato ai suoi due eroi prediletti, Tex Willer e John Wayne. Ha compilato una certosina enciclopedia del crimine. Quattro volumi, trecento schede. «I serial killers italiani? Robetta. Poveracci frustrati che hanno subìto abusi sessuali da bambini. Il delitto perfetto non esiste. Esiste il grande delitto, quando il gesto omicida diventa scrittura».

Nella prefazione di "Fuggevole Turchese" ha pubblicato il suo numero di cellulare. Lo tempestano di telefonate. Psicopatici, balordi, giovanissimi fans. Quelli che lui chiama in modo autorefenziale "la pink generation". Lui si concede. «Mi faccio un culo così nel proselitismo, passando dal club esclusivo di Montecarlo al più sperduto liceo dell'Appennino. Sono il cantore del disagio. Scrivo di vite molto implicate con lo spettro della morte, che non è necessariamente quella dei delitti, ma anche morte civile. Il vero serial killer è il vuoto. Le vere vittime sono quelle della fashion e della coglioneria generalizzata». Ha fondato nel '93 la "scuola dei duri" nella cantina-cripta del "Boulevard Café" di Corso Garibaldi, due passi dal "Trottoir". Dalla consolle usata come pulpito insegna a «esplorare la città attraverso il linguaggio più estremo che è quello del crimine». Gli sta stretta la definizione di "giallista". «La mia dimensione è la chanson des gestes. Ecco, sono uno scrittore epico».